IL NATALE È PASSATO...MA LO STIAMO DISTRUGGENDO... DIVORATA L'ATTESA.
Un
tempo era l'attesa il cardine che rendeva magico il Natale e
riproponeva la venuta della Luce con l'albero o il presepe. Gesù Bambino
non portava i regali ma solo i pensieri di immaginarlo "al freddo e al
gelo", riscaldato dall'Amore della Madonna e del suo padre putativo
Giuseppe e dal fiato caldo del bue e dell'asinello, in una stalla al
buio, ai margini di Betlemme, sul cui cielo imperava la Stella Cometa
che in un contesto pastorale remoto qual era il territorio intorno a
Betlemme stava guidando i Tre Magi, Melchiorre, Gaspare e Baldassarre,
grandi saggi che sapevano interpretare il libro stellare, erano partiti
spontaneamente dai tre angoli della terra per portare, nella leggenda
miracolosamente riuniti dalla luce della Stella Cometa nei pressi del
palazzo di Erode, a Gerusalemme, oro incenso e mirra presso una
mangiatoia in cui vagiva un bambino nato da poco. La notte di Natale:
era questo il regalo che ricevevano piccini e grandi, che ritornavano
piccoli, anche quelli usi ad abbinare ad "ogni parola un moccolo".
Oggi
il Natale è stato troncato dell'attesa. Inizia a bomba quasi un mese
prima e termina con l'affanno e la voglia che finisca quanto prima. Il
ponce in piazza non soppianterà mai lo scambio del bere il ponce nelle
famiglie, che iniziava una decina di giorni prima del Natale ( in chiesa
c'era il rito della novena la mattina presto) e preparava o risistemava
l'atmosfera di pace eventualmente deterioratasi. Ben altro significato
aveva andare a veglio e bere il ponce nelle case che nelle piazze.
Stiamo perdendo il Natale come è quasi persa la Pasqua. La tradizione
non è uno stantio uniformare il comportamento plurimo ma è un prezioso
allinearsi per preservare dei valori che se non sì affermano
comunitariamente si rischia di perderli o di vederli soppiantare da
tradizioni che non ci appartengono. La luce di quei Natali, benché
sideralmente inferiore a quella odierna, illuminava di più l'anima e
rischiarava il cammino verso la mangiatoia. Anche i
presepi sono stati sottratti dalle umili scenografie famigliari e sono
diventati "artistici", più lontani e meno rispondenti all'immagine
evocata dalle rappresentazioni realizzate nei bui fondi delle case. Pure
i presepi che venivano aperti all'ammirazione dei paesani dopo la Messa
di mezzanotte e che erano allestiti nel totale riservo di sere e sere
di lavoro, come quelli nel fondo del Girò, nella rughetta di
Malinventri, o di Ugo, in un vano terra di una casa confinante con il
Palazzetto del Cardoso, seppure movimentati attraverso l'acqua non
perdevano quella luce di umiltà che dalla capannella s'
irradiava lunare sul muschio rendendo quasi vive le statuine dei
pastori, delle pecorelle, del fabbro che batte il ferro, del mugnaio che
si gira dentro al mulino, della donnina presso la pozza a lavare i
panni. Insomma la rappresentazione di un vivere in pace al calcio delle
montagne e sotto un cielo di stelle, con la cometa sopra la grotta a
illuminare la strada che menava al figlio del Re dei Cieli e ai lati
dello speco della salvezza gli angeli vestiti d'azzurro. dalle ali
trasparenti come la nebbia che si disfà al giorno nuovo che sorge con lo
spuntar del sole. Un venite adoremus, nessuno escluso. Un
canto coinvolgente s'appropriava di quell'umile vivere ricomposto su un
tavolato coperto di muschio che durante il periodo dell'attesa eravamo
stati preparati ad accogliere e a guardarlo con gli occhi dell'anima.
Stamani l'ho pensata così e vi offro, cari lettori di Libera Cronaca, uno spunto per condividere o meno.
Giuseppe Vezzoni
Responsabile di Libera Cronaca