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  • 20/12/2025 13:19

Anziani soli a Natale: il silenzio che non fa rumore come i botti

Ogni anno, puntuale come il panettone in offerta e le lucine che si fulminano proprio la sera della vigilia, c’è un’altra tradizione che nessuno mette in vetrina: migliaia di anziani lasciati soli durante le feste. Soli nelle case di riposo, soli a casa propria, soli anche in mezzo ad altri perché a volte la solitudine non è questione di metri quadrati, ma di presenza vera. E la cosa che fa più male è il contrasto. Perché in questi giorni si accende un dibattito infuocato su tutto: sui botti di fine anno, sui cani terrorizzati, sul rispetto, sulle regole, sui divieti. Discussioni sacrosante, per carità. Un animale che soffre merita attenzione, e chi spara petardi come se stesse liberando una città assediata non è esattamente un poeta. Però viene da chiedersi: com’è possibile che per i botti si mobiliti mezzo Paese e per gli anziani “spariti” nelle feste scenda un silenzio che pare normale? Il punto non è scegliere chi “merita” di più. Il punto è che ci siamo abituati a una cosa assurda: a indignarci per ciò che fa rumore e a ignorare ciò che resta muto. Un cane spaventato si vede, si sente, abbaia, trema, e giustamente ci tocca. Un anziano solo invece spesso non disturba: non fa storie, non si lamenta, magari ti dice pure “non preoccuparti, vai pure”. E noi, che in fondo una scusa la troviamo sempre, prendiamo quella frase come un permesso. E via, a correre dietro alle nostre cene, ai brindisi, alle foto di gruppo. Nelle case di riposo succede una cosa che chi non l’ha mai vista fatica a immaginare: le giornate cambiano poco, ma le feste cambiano tantissimo. Perché arrivano i ricordi. Arrivano le assenze. Arriva quel “una volta” che pesa più di qualsiasi valigia. C’è chi aspetta visite come si aspetta un treno: guardando l’orologio, sistemando la sedia, aggiustandosi i capelli, mettendosi addosso la maglia “buona”. E poi, magari, quel treno non arriva. Non sempre per cattiveria: spesso per stanchezza, per sensi di colpa che diventano evitamento, per famiglie complicate, per distanze, per impegni reali. Ma il risultato, per chi aspetta, è identico: il vuoto. E a casa, da soli, non è meglio. Un anziano solo a Natale non ha solo “tempo libero”: ha ore lunghe, lunghissime, in cui la televisione parla ma non ascolta, il telefono non squilla, il campanello resta zitto. E quando si sente un botto fuori, non è solo il cane del vicino a sobbalzare: sobbalza anche chi ha il cuore fragile, chi vive con l’ansia, chi teme di cadere e non essere trovato, chi la notte la passa già in allerta. C’è una paura che non finisce nei post sui social perché non è “condivisibile” con un cuoricino: è una paura che si porta da soli. Siamo diventati bravi a commuoverci per le cause “pulite”, quelle che non chiedono troppo. Un post, una firma, un appello, e ci sentiamo a posto. Con gli anziani è più scomodo: devi andare, devi restare, devi ascoltare. Devi reggere racconti che a volte si ripetono, devi guardare negli occhi la fragilità, devi fare i conti con l’idea che un giorno potremmo essere noi a sperare in una visita “anche solo mezz’ora”. E allora si rimanda, si rimanda, si rimanda. Finché la solitudine diventa l’arredo stabile delle feste. Eppure non serve un miracolo. Serve una cosa molto più semplice e molto più rara: una presenza vera. Una visita breve ma fatta bene. Una telefonata non di fretta, senza il “ti lascio che ho da fare” detto mentre ancora non hanno finito la frase. Portare una foto stampata, non solo sul telefono. Chiedere “come stai davvero?” e poi aspettare la risposta. Se si è lontani, organizzarsi: una videochiamata fatta con calma, magari aiutandoli prima a capire come funziona. Se c’è un vicino anziano che vedi da mesi solo al supermercato, bussare con una scusa dignitosa: “Ne ho comprato troppo, ti va un po’ di questo?” (funziona sempre: la dignità è importante quanto l’affetto). Se in una RSA non puoi andare, manda un biglietto scritto a mano. Scritto a mano, sì: perché è una piccola prova che qualcuno ha fermato il tempo per te. E per i botti? Anche lì, si può fare gli adulti senza fare i predicatori. Festeggiare senza esplodere mezza città è possibile: ci riescono i popoli interi, quindi possiamo riuscirci anche noi, che ci vantiamo sempre di saper vivere bene. Se proprio vuoi il “colpo di scena” a mezzanotte, fai un brindisi fatto bene, una risata vera, una musica che non faccia tremare i vetri. Il rispetto non toglie festa: toglie solo la maleducazione. Il guaio è che abbiamo reso normale l’abbandono degli anziani. E quando una cosa diventa normale, smette di scandalizzare. Ma non dovrebbe. Perché una società si vede da come tratta chi non produce, chi non corre, chi non può più “stare al passo”. Gli anziani non sono un fastidio logistico da parcheggiare tra un pranzo e una gita. Sono memoria, sono storia, sono persone. E soprattutto: sono presenti, adesso. Non “quando ho tempo”. Le feste, alla fine, non sono luci e tavolate. Le feste sono presenza. E se c’è qualcuno che, ogni anno, passa queste giornate a guardare una porta che non si apre, allora la nostra festa è incompleta. Non serve sentirsi in colpa: serve decidere di fare qualcosa, anche piccolo, ma reale. Perché tra il rumore dei botti e il silenzio di una stanza, la cosa più urgente non è scegliere da che parte stare: è ricordarsi che dietro quel silenzio c’è una persona che sta aspettando. E non dovrebbe aspettare invano.

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