Da un muratore con la cazzuola pronta e una città che non riconosco più
Mi chiamo Arben, faccio il muratore da vent’anni e vengo dall’Albania. A Lucca ho messo radici vere: case ristrutturate, muri tirati su dritti, schiene piegate e mani spaccate. Non filosofia, calce. Però una cosa l’ho capita anch’io, senza laurea: le città si tengono in piedi se qualcuno lavora davvero.
Con Tambellini sindaco io lavoravo. Punto. Non sto a fare santini, ma i cantieri giravano, le chiamate arrivavano, c’era da sistemare, rifare, riparare. Lucca sembrava una casa abitata: non perfetta, ma viva. Io, nel mio piccolo, mi sentivo utile. E quando uno lavora, rinasce. Anche se parla con accento straniero.
Poi è cambiata l’aria. Nuova giunta, destra, parole grosse, bandiere sventolate. Io invece sventolo il curriculum. Risultato? Silenzio. Il telefono muto come un muro portante. Non dico che sia colpa di uno solo, ma da quando Tambellini ha perso le elezioni, per me il lavoro è sparito come una livella in un cantiere disordinato.
E intanto Lucca… mi dispiace dirlo, ma sembra lasciata un po’ andare. Lo vedo camminando, non leggendo i comunicati. Sporco, incuria, angoli dimenticati. Anche leggendo quello che scrivono su La Voce di Lucca non è che uno si tranquillizzi: sembra una città che avrebbe bisogno di una bella ristrutturazione, di quelle serie, non solo una mano di vernice prima delle feste.
Io non chiedo favori. Chiedo lavoro. Chiedo che uno come me, straniero ma con le mani che sanno fare, possa dare una mano a rimettere in piedi questa città che amo più di quanto qualcuno pensi. Spero che il sindaco Pardini prima o poi guardi oltre gli slogan e si ricordi che Lucca non si sistema con i post, ma con i cantieri. E nei cantieri servono muratori, non opinioni.
Ironia della sorte: Lucca è piena di muri storici, ma a me sembra che oggi il muro più alto sia quello invisibile, che separa chi vuole lavorare da chi decide chi può farlo. Io resto qui, con la cazzuola pronta. Se qualcuno chiama, io rispondo. Lucca, pure.
Arben K.