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  • 12/10/2025 16:14

Studio e riflessioni sulla contenzione nei reparti psichiatrici

Studio e riflessioni sulla contenzione nei reparti psichiatrici italiani Premessa Nella pratica quotidiana, soprattutto in psichiatria e nei reparti di emergenza, la contenzione fisica viene spesso utilizzata non per scelta clinica, ma per necessità. Accade che persone con comportamenti violenti o altamente pericolosi — che in un sistema equilibrato dovrebbero essere gestite da forze dell’ordine o sottoposte a misure giudiziarie — finiscano invece in contesti sanitari. Il personale, privo di mezzi di difesa o di supporto immediato da parte della polizia, si trova a dover proteggere sé stesso e gli altri degenti. È in questi frangenti che la contenzione diventa una difesa estrema, più che uno strumento terapeutico. Da qui la necessità di una riflessione lucida: quando è lecita? Quando diventa abuso? E come si tutela chi opera in prima linea, spesso solo e senza protezioni reali? --- 1. Definizione e natura della contenzione Per “contenzione” si intendono tutti quei mezzi che limitano la libertà di movimento del paziente: fisica o meccanica (cinture, fasce, spondine, ecc.); farmacologica (sedazione forzata o eccessiva); ambientale (reclusione, isolamento, ambienti chiusi). È fondamentale ricordare che la contenzione non è un atto terapeutico, bensì una misura di sicurezza eccezionale. La sua funzione è prevenire un danno immediato, non curare. --- 2. Il quadro normativo e giurisprudenziale In Italia non esiste una legge specifica che disciplini in modo organico la contenzione. Le norme di riferimento sono sparse e vanno lette con equilibrio: Costituzione, articoli 13 e 32: la libertà personale è inviolabile, e ogni limitazione deve essere prevista dalla legge e motivata; la salute è un diritto, ma mai in contrasto con la dignità umana. Codice Penale: articoli 40, 54, 605, 610, 572, 582 e 586 — rispettivamente posizione di garanzia, stato di necessità, sequestro di persona, violenza privata, maltrattamenti, lesioni e morte in conseguenza di altro reato. Leggi 180 e 833 del 1978: che regolano i trattamenti sanitari obbligatori e i principi della salute mentale. Giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): più volte hanno ribadito che la contenzione deve essere una misura eccezionale, temporanea e giustificata da pericolo attuale, concreto e inevitabile. Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 50497/2018), la contenzione non può mai essere preventiva né sostitutiva dell’organizzazione o della vigilanza. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani o degradanti, quando la contenzione è stata protratta o immotivata. --- 3. Quando è legittima la contenzione Tre criteri imprescindibili la rendono lecita: 1. Pericolo attuale e concreto Deve esserci un rischio immediato per sé o per altri. Non bastano sospetti o timori. 2. Assenza di alternative efficaci Prima di ricorrere alla contenzione, devono essere tentate tecniche di de-escalation, interventi farmacologici mirati, sorveglianza intensiva o isolamento temporaneo in ambiente sicuro. 3. Proporzionalità e temporaneità La misura deve durare solo il tempo strettamente necessario e nel modo meno restrittivo possibile. Ogni minuto in più deve essere giustificato e documentato. In caso di rischio immediato per l’incolumità, l’operatore può invocare lo stato di necessità (art. 54 c.p.), ma solo se la condotta è proporzionata e inevitabile. Se queste condizioni mancano, la contenzione diventa atto illecito, con conseguenze penali e civili. --- 4. Responsabilità e rischi legali Quando la contenzione viene usata in modo improprio o prolungato, la responsabilità ricade sugli operatori e sulla struttura: Sequestro di persona (art. 605 c.p.) se la limitazione della libertà è ingiustificata o non motivata. Lesioni o morte (artt. 582 e 586 c.p.) se il paziente subisce danni fisici o muore durante la contenzione. Maltrattamenti (art. 572 c.p.) se il trattamento appare umiliante o sistematicamente vessatorio. Violenza privata (art. 610 c.p.), per imposizione indebita di un comportamento. Responsabilità civile: risarcimento dei danni biologici, morali e relazionali. Il caso Mastrogiovanni resta emblematico: la contenzione prolungata e non motivata è stata ritenuta una grave violazione dei diritti fondamentali e della dignità umana. --- 5. Contenzione come sintomo del sistema Il ricorso alla contenzione è spesso segno di un sistema in difficoltà più che di un paziente violento. Le cause principali: carenza di personale; assenza di protocolli chiari; formazione insufficiente su gestione delle crisi; ricoveri impropri di soggetti penalmente pericolosi; mancanza di supporto di sicurezza nelle ore critiche. In molti casi, la contenzione diventa l’unico mezzo per garantire sopravvivenza fisica del personale e degli altri pazienti, ma resta un fallimento organizzativo e istituzionale. --- 6. Principi etico-operativi del Neo Comitato Il Neo Comitato Studio Sanitario propone una serie di linee di condotta concrete per ridurre l’uso della contenzione e tutelare insieme operatori e pazienti: 1. Protocolli ufficiali obbligatori Ogni struttura deve adottare un regolamento scritto sulla contenzione, con criteri di applicazione, durata, autorizzazioni e modalità di controllo. 2. Gradualità degli interventi Prima di contenere, occorre tentare ogni forma di intervento meno invasivo: dialogo, isolamento temporaneo, sostegno verbale, mediazione. 3. Documentazione rigorosa Ogni atto di contenzione deve essere motivato, annotato e firmato. Devono essere indicati motivi, durata, responsabili e monitoraggi successivi. 4. Monitoraggio continuo del paziente Durante la contenzione il paziente non va mai lasciato solo. Va controllato stato vitale, comfort, coscienza e condizioni psicologiche. 5. Riduzione immediata appena possibile La contenzione va revocata al primo segnale di cessazione del pericolo. 6. Formazione del personale Tutti gli operatori devono ricevere corsi periodici di prevenzione della violenza, gestione della crisi, tecniche di protezione fisica non coercitive e comunicazione empatica. 7. Presidio di sicurezza temporaneo In situazioni di alta pericolosità, deve poter intervenire una figura di supporto esterno — polizia o vigilanza sanitaria — che permetta di limitare la contenzione ai soli casi inevitabili. 8. Supervisione e trasparenza Ogni evento di contenzione deve essere rivisto periodicamente da un comitato etico interno e comunicato alle autorità sanitarie competenti. 9. Progettazione di ambienti sicuri Spazi strutturati per prevenire violenze senza coercizione: materiali antiurto, arredamento protettivo, zone di osservazione visiva e acustica. --- 7. Conclusione La contenzione è una misura di emergenza, non una soluzione gestionale. Usarla in modo improprio significa trasformare la cura in coercizione e il luogo di cura in una zona grigia dove i diritti si piegano alle necessità. Ma ignorare il pericolo reale, e lasciare gli operatori senza strumenti di difesa, è altrettanto irresponsabile. Serve equilibrio: garantire sicurezza senza perdere umanità, e proteggere chi cura senza tradire chi soffre. Il Neo Comitato auspica che il legislatore, le istituzioni sanitarie e le forze dell’ordine riconoscano questo problema come questione di sicurezza pubblica, dignità umana e giustizia operativa. Riflessioni a cura del Neo Comitato Sanità e Sicurezza

I commenti

La contenzione meccanica dei pazienti psichiatrici è ancora oggi una delle questioni più controverse e dibattute in Italia e nella comunità internazionale relativamente all’assistenza psichiatrica1. Questa pratica, infatti, solleva una grande quantità di problemi di ordine etico, clinico, giuridico e medico-legale. Se esistono posizioni, in ambito giuridico e psichiatrico, che assimilano la contenzione meccanica a una pratica da poter utilizzare in stato di necessità, molto diffusa è la posizione alternativa che sostiene l’illegittimità etica e giuridico-costituzionale di questo strumento, che ne nega la valenza terapeutica. Sicuramente è una pratica molto diffusa, e non solo nei reparti psichiatrici. Secondo una ricerca condotta nel 2004 dall’Istituto Superiore di Sanità presso un campione di Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), sull’intero territorio nazionale nel 60 per cento dei casi le strutture fanno ricorso a pratiche di contenzione meccanica e in oltre il 70 per cento sono presenti gli strumenti idonei per farvi ricorso. In Italia avvengono in media 20 contenzioni ogni 100 ricoveri. Questi dati, seppur si tratti di stime e siano poco aggiornati, sono utili a inquadrare il fenomeno dal momento che non tutti i Spdc forniscono registri con il monitoraggio delle contenzioni praticate.

Negli ultimi mesi si è tornato a parlare di contenzione – anche se meno di quanto si sarebbe dovuto – in seguito alla morte di Elena Casetto, la ragazza diciannovenne bruciata viva all’interno del reparto psichiatrico dell’ospedale di Bergamo. La ragazza era stata legata al letto qualche ora prima e la sua stanza era chiusa a chiave: una situazione molto distante da quella auspicata da Gianvito Iannuzzi, volontario in un Centro di salute mentale (Csm) a Roma ed ex paziente psichiatrico nel cortometraggio Parlare mille lingue. Una volta scoppiato l’incendio, le fiamme sono divampate e nessuno è riuscito a salvarla. Ancora, il 4 agosto del 2009, nel Spdc dell’ospedale di Vallo della Lucania, è morto legato a un letto Franco Mastrogiovanni, vicenda raccontata dallo straziante film di Costanza Quatriglio, 87 ore, che ha portato alla condanna definitiva di sei medici e undici infermieri. In questo caso ha fatto scalpore l’affermazione inequivocabile della Cassazione: il ricorso al letto di contenzione non è mai una misura terapeutica. Come hanno scritto in un articolo pubblicato su La Repubblica Luigi Manconi e Valentina Calderone – presidente e direttrice dell’associazione A buon diritto, che da anni lavora anche su queste tematiche – non dire che «la contenzione meccanica non è un atto medico» perché la pratica di legare i pazienti a un letto, polsi e caviglie stretti dentro lacci e cinghie possa dirsi abolita. Al contrario, la contenzione è talmente frequente che numerose associazioni si sono unite nella promozione di una campagna, “… E tu slegalo subito”, che ne chiede la totale abolizione2.

Anche il documento del Comitato nazionale di bioetica uscito nel 20153 e il rapporto del 2017 della Commissione diritti umani del Senato4 presieduta da Luigi Manconi ne hanno denunciato la frequenza, focalizzando il tema dal punto di vista del rispetto della dignità e dei diritti della persona. «Secondo la nostra Costituzione», scrive Manconi nel rapporto, «i ricorsi a pratiche limitative della libertà personale nell’ambito di trattamenti sanitari dovrebbero rappresentare rare eccezioni tassativamente regolate, controllate, sottoposte a un sistema giurisdizionale di garanzie nei confronti dei pazienti. Mentre si continua dunque ad agire in maniera stridente con la migliore cultura giuridica e sanitaria affermatasi nel nostro paese e, in particolare, con quella “legge Basaglia” che ha riconosciuto in maniera piena la dignità e la titolarità dei diritti delle persone affette da disagio mentale. Nella stragrande maggioranza dei centri di diagnosi e cura i pazienti non hanno la possibilità di avere rapporti con i familiari, di muoversi liberamente (tantomeno di uscire) e tali strutture risultano spesso impermeabili a qualsiasi possibilità di monitoraggio e controllo dall’esterno e la pratica di misure di contenzione meccanica è una componente ricorrente, seppur nell’ombra. […] La contenzione meccanica continua a rimanere pratica diffusa nel pressoché assoluto silenzio della politica, delle comunità professionali e dell’intero corpo sociale».





Eppure ci sono luoghi in Italia dove la contenzione è stata abbandonata e le porte sono aperte. Luoghi dove sono evidenti pratiche e organizzazioni dei servizi rispettose della persona, della dignità e dei diritti di tutti, utenti e operatori. Dalla regione Friuli Venezia Giulia, dove iniziò la rivoluzione psichiatrica basagliana, fino a buone pratiche sparse sul territorio nazionale. Esistono, infatti, circa 30 Spdc no restraint capaci, anche nelle situazioni più estreme, di assicurare dignità e diritti. Che è anche quello che si augura Gianvito Iannuzzi: «Benissimo la forza, benissimo il rigore, ma accanto diamo una parvenza di umanità, perché in quella situazione di impotenza quello che resta è la parola. Facciamo che le parole siano vere, autentiche e in qualche modo calibrate. In quella situazione si è fecondi mentalmente, si ha bisogno di uno scambio, di un dialogo. Pensare che hai risolto tutto legando, chiudendo la porta e andando via, non dico buttando la chiave ma quasi, è la cosa più crudele e più assurda che sia stata concepita all’interno di una scienza»5.

Conosciamo tutti le difficoltà degli operatori costretti a lavorare in condizioni di carenza di organico, in ambienti inadeguati o sovraffollati, ma sappiamo anche che la contenzione non è un frutto solo di queste carenze e difficoltà. Influiscono l’orientamento, la cultura degli operatori, dei dirigenti, il modello organizzativo dei servizi di salute mentale. Queste esperienze dimostrano che si può fare a meno di legare. O almeno che una persona non venga lasciata sola e che vi sia una parvenza di umanità.

Ricerca - 12/10/2025 19:54


La contenzione: problemi bioetici


Il parere “La contenzione: problemi bioetici” affronta il tema della contenzione così come applicata ai pazienti psichiatrici e agli anziani, con particolare riguardo alle
forme di contenzione meccanica, che più sollevano riserve dal punto di vista etico e giuridico.
Numerose prese di posizione di organismi internazionali e dello stesso Comitato in precedenti pareri (circa la salute mentale e l’assistenza agli anziani)hanno già indicato con chiarezza l’obiettivo del superamento della contenzione, che è da
considerarsi un residuo della cultura manicomiale. Ciononostante, tale pratica risulta essere tuttora applicata, in forma non eccezionale. Pur offrendo stimoli utili, le
esperienze di servizi no-restraint, che hanno scelto come buona prassi di non applicare la contenzione meccanica, sono ancora molto limitate. In più, non esiste un’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni adeguata alla gravità del problema, che viene alla ribalta in occasione di tragiche conseguenze mortali occorse alle persone sottoposte a contenzione. Nonostante la scarsità degli studi in
merito, indicazioni emergono dalla ricerca circa le variabili che più incidono sul ricorso alla contenzione: la cultura, l’organizzazione dei servizi, l’atteggiamento degli
operatori rivestono un ruolo decisivo, più della gravità dei pazienti e del loro profilo psicopatologico. Ciò dimostra che si può fare a meno di legare le persone e il successo di programmi tesi a monitorare e ridurre questa pratica confermano questa indicazione.
Per queste ragioni, il CNB ribadisce l’orizzonte bioetico del superamento della contenzione, nell’ambito di un nuovo paradigma della cura fondato sul riconoscimento della persona come tale (prima ancora che come malato e malata),
portatrice di diritti. Il rispetto dell’autonomia e della dignità della persona è anche il presupposto per un intervento terapeutico efficace.
Di contro, l’uso della forza e la contenzione rappresentano in sé una violazione dei diritti fondamentali della persona. Il fatto che in situazioni del tutto eccezionali i sanitari possano ricorrere a giustificazioni per applicare la contenzione non toglie forza alla regola della non- contenzione e non modifica i fondamenti del discorso etico.
Sul piano giuridico, poiché vengono in rilievo i diritti fondamentali della persona, si sottolineano i limiti rigorosi della giustificazione per la contenzione. Il ricorso alle
tecniche di contenzione meccanica deve rappresentare l’extrema ratio e si deve ritenere che – anche nell’ambito del Trattamento Sanitario Obbligatorio – possa avvenire solamente in situazioni di reale necessità e urgenza, in modo proporzionato alle esigenze concrete, utilizzando le modalità meno invasive e solamente per il tempo necessario al superamento delle condizioni che abbiano indotto a ricorrervi. In altre parole, non può essere sufficiente che il paziente versi in uno stato di mera agitazione, bensì sarà necessaria, perché la contenzione venga “giustificata”, la presenza di un pericolo grave ed attuale che il malato compia atti auto-lesivi o
commetta un reato contro la persona nei confronti di terzi. Nel momento in cui tale pericolo viene meno, il trattamento contenitivo deve cessare, giacché esso non sarebbe più giustificato dalla necessità e integrerebbe condotte penalmente rilevanti.
Nelle conclusioni, il CNB raccomanda fra l’altro di incrementare la ricerca sul fenomeno, anche per ciò che riguarda gli anziani e le anziane che sono i soggetti più inermi di fronte alle pratiche coercitive; di avviare un attento monitoraggio, a livello regionale ma anche nazionale, a cominciare dalle prassi quotidiane nei reparti, dove vanno annotati col dovuto rigore i casi di contenzione, le ragioni specifiche della
scelta di legare il paziente, la durata della misura; di predisporre programmi finalizzati
al superamento della contenzione nell’ambito della promozione di una cultura generale della cura rispettosa dei diritti, agendo sui modelli organizzativi dei servizi e sulla formazione del personale; di introdurre nella valutazione dei servizi standard di qualità che favoriscano i servizi e le strutture no-restraint; di mantenere e possibilmente incrementare la diffusione e la qualità dei servizi rivolti ai soggetti più vulnerabili, in quanto tali più esposti a subire pratiche inumane e degradanti.


Comitato Nazionale per la Bioetica

Dal web - 12/10/2025 19:49

Da Infermieristicaente

Di fronte alla possibilità di contenere un paziente con mezzi meccanici e/o farmacologica, le domande che gli operatori sanitari si pongono sono tante, e molte di difficile risposta, perché non trovano un appiglio normativo chiaro.

E’ lecito e corretto “legare” un malato? E’ possibile contenere un paziente che minaccia di dislocarsi un device salvavita? E’ possibile sedare un paziente agitato, violento e che pone in essere atteggiamenti auto e eteroaggressivi?

Dalla legge 180(chiusura dei manicomi), la normativa si è dissolta. Ad oggi è in vigore una raccomandazione contenuta in un documento del Ministero della Salute - Accordo per il superamento della contenzione meccanica, che mette la parola fine alla contenzione meccanica nei luoghi di cura, a partire dal 2023.

Cominciamo con il distinguere i diversi mezzi di contenzione:

Contenzione manuale si intendono le attività mirate a immobilizzare il paziente (il corpo o parte del corpo della persona). È stata definita anche “contenzione umana”, laddove per umana si intende l’utilizzo del corpo di chi applica la contenzione.

Contenzione fisica o meccanica si intende la messa in atto di procedure, mezzi e dispositivi applicati al corpo della persona o nello spazio circostante atti a limitare la libertà di movimento. Rientrano quindi nei sistemi di contenzione fisica (detta anche meccanica) i mezzi applicati direttamente sul paziente a letto come le fasce e cinture, le spondine, oppure applicati nelle carrozzine. Si intendono altresì i mezzi di contenzione per segmento corporeo (cavigliere, polsiere ecc.), i mezzi che obbligano a determinate posture, le cinture pelviche, i divaricatori inguinali.

La contenzione meccanica può essere operata anche con dispositivi medicali per finalità terapeutiche (es. apparecchio gessato).

Contenzione farmacologica si intende la somministrazione di medicinali con la finalità di modificare il comportamento della persona e di limitarne i movimenti e i comportamenti. E’ di difficile definizione, in realtà, in quanto non possiamo farla coincidere con ogni tipo di sedazione.

Contenzione ambientale si intendono le misure consistenti in sistemi di ritenuta di porte e finestre al dichiarato fine di evitare l’uscita incontrollata dalle strutture.

La normativa

I riferimenti normativi oggi sono dati dagli articoli della Costituzione che realizzano l’autodeterminazione (art. 2), il diritto all’inviolabilità della libertà personale (art. 13) e il diritto alla salute e alla dignità (art. 32).

Codice deontologico delle professioni infermieristiche (Fnopi, 2019) articolo 35 Contenzione. “L’Infermiere riconosce che la contenzione non è atto terapeutico. Essa ha esclusivamente carattere cautelare di natura eccezionale e temporanea; può essere attuata dall’equipe o, in caso di urgenza indifferibile, anche dal solo Infermiere se ricorrono i presupposti dello stato di necessità, per tutelare la sicurezza della persona assistita, delle altre persone e degli operatori. La contenzione deve comunque essere motivata e annotata nella documentazione clinico assistenziale, deve essere temporanea e monitorata nel corso del tempo per verificare se permangono le condizioni che ne hanno giustificato l’attuazione e se ha inciso negativamente sulle condizioni di salute della persona assistita”.

Per il resto è la giurisprudenza che ne detta i principi; una su tutte la sentenza della Cassazione (V sezione, sentenza 20 giugno 2018, n. 50497), che si è espressa sul caso Mastrogiovanni, fissando dei paletti sull’uso della contenzione, stabilendo che la contenzione non è un “atto medico” (in quanto non cura) ed essendo un presidio di restrizione della libertà personale ha una mera funzione cautelare.
La liceità dell’uso dei mezzi contenitivi viene – dai Supremi giudici - giustificata solo nelle ipotesi previste dall’articolo 54 del codice penale che recita testualmente: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.


Chi dispone la contenzione?

Anche in questo caso la Cassazione stabilisce che - contenere manualmente, applicare mezzi meccanici o indicare misure di restrizione ambientale non avendo natura terapeutica ma meramente cautelare può/deve essere indicata dal personale che ha in carico il paziente e assume la posizione di garanzia in seguito alla presa in carico. A seconda delle circostanze può essere decisa dal medico, dall’infermiere, dall’operatore socio sanitario e dai caregivers domiciliari.

Quindi, a parte la contenzione farmacologica, che è disposta dal medico, per tutti gli altri tipi di contenzione, l’infermiere può decidere in autonomia, sempre seguendo il principio dello “stato di necessità”, e rivalutando a stretto giro, la possibilità di disapplicare la contenzione.

Gli elementi portanti dello stato di necessità sono:

a) il pericolo attuale di un danno grave alla persona;
b) le inevitabilità altrimenti del pericolo;
c) la proporzionalità del fatto.




Democratica News - 12/10/2025 19:45

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