Due direttori, una città: Beatrice Venezi e Marco Teani da Lucca al podio
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Venezi, il comico di una brutta nomina
Una notte all'opera Una pagina opaca nella storia recente della cultura italiana, e un esempio didascalico del livello a cui può scendere la lottizzazione nel nostro Paese.
Cristiano Chiarot
La nomina della Maestra Beatrice Venezi a Direttore Musicale del Teatro La Fenice è una pagina opaca nella storia recente della cultura italiana, e un esempio didascalico del livello a cui può scendere la lottizzazione nel nostro Paese.
Premessa. Chi scrive ha lavorato alla Fenice per oltre trent’anni, ricoprendo il ruolo di Sovrintendente dal 2010 al 2018. In seguito, alla guida del Maggio Fiorentino, incontrai la Maestra Venezi: giovane, determinata, già ampiamente mediatizzata – più per estetica che per estetica musicale. Mi chiese un’occasione, e (come in anni di lavoro ho fatto con decine di direttori esordienti) gliela concessi: alcuni concerti nell’attività regionale. Era il suo debutto con una grande orchestra di Fondazione italiana. Non le domandai – né m’interessarono – le sue opinioni politiche. Offrire un’opportunità a una giovane era naturale. A Firenze, tuttavia, nessuno sentì il bisogno di richiamarla.
Il caso veneziano si presta ora a più letture. Ma, poiché con questo governo la gestione della cultura non può che peggiorare, tanto vale soffermarsi sull’aspetto involontariamente comico.
La narrazione ufficiale parla di «scelta per curriculum, dopo proficui colloqui». Dichiarazione che, a voler essere gentili, suona come una battuta da camerino. Chi ha strumenti per leggere quei documenti sa riconoscere quando un curriculum è più retorico che sostanziale. E in Italia – anche a destra – ci sono direttori con esperienze molto più solide. Che i «colloqui» ci siano stati è pacifico. Decisivi, però, quelli con i vertici di Fratelli d’Italia e del governo.
Appena resa nota la nomina, da destra si è levata la fanfara: ma più che squilli trionfali, sembravano sospiri di sollievo. Tutti pronti a lodare la Maestra, nessuno disposto darle responsabilità di medio periodo.
NON IL PRESIDENTE della Biennale, che ha preferito collocarla alla Fenice pur di non essere costretto a nominarla in casa propria, così da continuare a scegliersi collaboratori di riconosciuta qualità, magari internazionali. Non Cecilia Gasdia, ottima Sovrintendente dell’Arena di Verona, che grazie alla protezione del sottosegretario Mazzi continuerà a farle dirigere qualche titolo, senza conferirle alcun incarico stabile.
Nemmeno Mazzi, che ha portato la direttrice del Colón di Buenos Aires alla guida del Comunale di Bologna, ha pensato di replicare con Venezi, nonostante lei, formalmente, figurasse al Colón come «direttore stabile». Né Genova né Palermo, entrambe saldamente in orbita FdI, hanno mostrato il minimo interesse. Insomma: un talento troppo prezioso per perderlo, ma troppo ingombrante per gestirlo. Neofascisti sì — sprovveduti no.
A dover bere il calice amaro e subire la fortuna è toccato al mite sovrintendente Nicola Colabianchi. Prima rassicura i lavoratori: «Nessuna nomina in vista». Poi convoca d’urgenza il Consiglio d’ Indirizzo della Fenice – che non ha alcuna competenza sulla nomina – per condividere la responsabilità con la politica locale. Notoriamente competente e sensibile alla materia.
E COME lo ripaga la Maestra? Con una sfiducia neanche troppo velata. Non ha ancora assunto l’incarico, e già annuncia incontri a tappeto per presentare il proprio «progetto artistico, culturale, umano». Tutto questo da ottobre 2026.
Nel frattempo, che ne sarà del programma del Sovrintendente e Direttore artistico Colabianchi? Dovrà adattarsi? Congelarsi?
Molti si domandano perché proprio la Fenice e Venezia abbiano meritato un destino così. Forse perché, per statuto, la Fenice è condannata a rinascere dopo ogni incendio. Ma questo, più che un incidente, somiglia a un rogo doloso – di quelli appiccati con mano sicura, e con la benzina dei favori politici.
Teatro la Fenice, dopo la nomina di Beatrice Venezi fioccano disdette e l’orchestra si ribella: “Revocatela”. Sfiduciato il sovrintendente
di Thomas Mackinson
In meno di 24 ore la reazione contro un direttore senza esperienza imposto da Roma. La lettera durissima al Sovrintendente: “Tradite le promesse, compromessa la fiducia”
Teatro la Fenice, dopo la nomina di Beatrice Venezi fioccano disdette e l’orchestra si ribella: “Revocatela”. Sfiduciato il sovrintendente
In meno di 24 ore la nomina di Beatrice Venezi a Direttrice Musicale della Fenice spacca il teatro. Fioccano disdette e l’orchestra ha inviato una lettera formale al Sovrintendente (scarica) chiedendo la revoca immediata: il rapporto di fiducia è “irrimediabilmente compromesso”, la decisione presa in “palese contrasto” con le promesse fatte pubblicamente e con quanto riferito ai sindacati.
Una scelta calata dall’alto
Gli orchestrali denunciano di aver appreso la notizia solo dalla stampa. Il Sovrintendente aveva garantito che ogni scelta sarebbe stata sottoposta a un giudizio “sul merito e non politico”, ma la consultazione non c’è mai stata. Che il nome di Venezi fosse imposto “da Roma” era noto, ma non era mai stato presentato come candidato interno. E il presunto “progetto artistico” che avrebbe motivato la scelta? “Non è mai emersa alcuna linea chiara, coerente o condivisa” da quando il Sovrintendente si è insediato sei mesi fa.
Curriculum giudicato insufficiente
Il dissenso è professionale, non politico. Venezi non ha mai diretto un’opera né un concerto sinfonico in cartellone alla Fenice. Il suo curriculum è definito “non minimamente paragonabile” a quello delle grandi bacchette che hanno guidato il teatro. Non figura nei principali teatri d’opera internazionali né nei festival di rilievo. “Dove si manifesta il ‘talento internazionale’ che dovrebbe guidare la Fenice?”, chiedono i professori. Un giudizio che conferma le critiche già raccolte dal nostro giornale: la direttrice Silvia Massarelli aveva bollato Venezi come “inadeguata al ruolo”, priva di curriculum e di attitudine, forte solo delle “aderenze politiche”.
Danni immediati
A ventiquattr’ore dall’annuncio si registrano già molte disdette di abbonati storici. Una nomina che, secondo l’orchestra, non garantisce “né qualità artistica né prestigio internazionale” e che sacrifica la fiducia del pubblico. La denuncia si allarga al sistema: nomine imposte per ragioni politiche, a scapito del merito. Una “piaga per il settore”, una “dittatura culturale” che minaccia la reputazione della Fenice come di altre istituzioni sostenute da fondi pubblici. La richiesta di revoca diventa così un atto di resistenza: difendere il patrimonio del teatro da un’ingerenza che umilia la musica e la sua tradizione.
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