Psichiatria: un anno dopo l’uccisione della dottoressa Barbara Capovani

Parliamo di psichiatria un anno dopo l’uccisione della dottoressa Barbara Capovani Il 21 aprile 2023 moriva la psichiatra pisana Barbara Capovani, che dirigeva il servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale Santa Chiara di Pisa; fu uccisa a colpi di spranga da un suo ex paziente. Un’altra psichiatra che subì la medesima tragica sorte fu Paola Labriola, uccisa nel 2021 con 57 coltellate in un Centro di Salute mentale di Bari. Sempre del reparto di psichiatria di Pisa nella notte tra il 26 e il 27 marzo un’altra dottoressa è stata presa a pugni e schiaffi. Fortunatamente in quest’ultimo caso le conseguenze sono state più lievi. La riflessione sulla psichiatria in Italia, che ogni qualvolta si verifica un fatto eclatante riesplode con enfasi coinvolgendo la comunità medica e i cittadini, dopo poco tempo puntualmente si spegne. Ma i problemi restano tutti sul tappeto. La storia della psichiatria in Italia vede una forte accelerazione nel 1978, quando, sotto la spinta di Franco Basaglia (1924-1980), di cui ricorre il centenario della nascita, viene promulgata la Legge 180, che confluisce, poi, nella Legge 833 del dicembre dello stesso anno che istituisce il sistema sanitario nazionale. Nella suddetta legge i tre articoli che si riferiscono alle cure psichiatriche parlano della modalità di ricovero e , vera novità, dell’istituzione di piccoli reparti all’interno dei nosocomi civili. Per ricordare Basaglia e le vicende che hanno visto la nascita e l’applicarsi della 180, abbiamo parlato con il professor Mario Di Fiorino, medico psichiatra, già primario all’Ospedale Versilia di Lido di Camaiore (Lucca). “La ‘legge Basaglia’ contiene già elementi di ambiguità proprio nel nome: il primo firmatario fu infatti l’onorevole democristiano Bruno Orsini. Su questa ambigua paternità si è spesso giocato, da parte dei basagliani, per dire che Basaglia non l’amava quella legge, l’avrebbe voluta diversa, e considerando le posizioni antipsichiatriche di Basaglia, meno male che non è andata del tutto come avrebbe desiderato”. Cosa avrebbe voluto Basaglia? “Come afferma Domenico Fargnoli in un articolo pubblicato su Left nel 2018, ‘lo psichiatra veneziano non voleva reparti psichiatrici negli ospedali generali: lui avrebbe preferito un network di appartamenti anticrisi, sullo stile delle case-famiglia inglesi realizzate da Ronald Laing e finite in un clamoroso fallimento. (…)”. Basaglia era ossessionato dall’istituzionalizzazione e dalla negazione di un luogo di cura, la sua radicalità emerge chiaramente proprio dal confronto con la posizione espressa da Laing. Lo stesso Basaglia scrive (1972) che Laing ripropone la costruzione di un ‘asilo’ che risponda – fuori da ogni burocrazia organizzativa ed istituzionale- al bisogno di riparo, di protezione, di tutela di chi vive un’esperienza ‘diversa’. Un luogo dove il diverso possa esprimersi senza limitazioni e dove si impari a convivere con esso. Ma la conclusione di Basaglia appare venata di pessimismo: ‘Auguriamo a lui che il suo asilo riesca a non diventare un’istituzione'”. Basaglia sembrava ossessionato dall’idea che potessero rinascere strutture simili ai vecchi manicomi. “Sì, negava la necessità di un luogo per la follia, la sua posizione era isolata anche all’interno della prospettiva antipsichiatrica o di psichiatria alternativa. Si rifaceva al pensiero di Michel Foucault che, ignorando l’aspetto propositivo e costruttivo, vede le istituzioni come emanazioni del potere che vogliono controllare, sorvegliare e punire la diversità e la devianza. Il pensiero di Foucault ha rappresentato in Italia, per decenni, una sorta di pensiero unico, di dittatura soft, completamente abbracciato dalla anti-psichiatria” In Europa come ci si comporta in campo psichiatrico? “In tutti i paesi, nessuno escluso, ci sono strutture psichiatriche in senso stretto con trenta-quaranta posti letto (negli Usa si trovano anche strutture più grandi) dove le persone possono essere trattenute anche tre/quattro mesi. In Italia la degenza media è di sette giorni. Venti anni dopo la riforma, un’Agenzia ha fatto una ricognizione per vedere dove erano i malati e quali strutture erano a disposizione. In Italia c’erano 17mila posti in strutture residenziali a dimostrazione che il numero dei posti letto non si erano ridotti, ma, prima della riforma, erano strutture con personale qualificato; adesso sono gestite da cooperative o personale volontario, il cosiddetto privato sociale. Le persone con problematiche di lieve entità riescono ad essere accolte e seguite, quelle più gravi escono. Quando sono fuori possono essere pericolosi per loro stessi e per gli altri. Non sono consapevoli della loro malattia, si sentono perseguitati, non assumono i farmaci, ma alcool e droghe, delinquono. Se condannati prima c’erano gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), ma ora che sono chiusi dovrebbero trovare ospitalità nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) che hanno la metà dei posti degli Opg e devono rimanere nei piccoli reparti ospedalieri di psichiatria con notevoli disagi e pericoli per gli operatori sanitari”. Ma in Italia di cosa ci sarebbe bisogno? “Basterebbe far diventare il nostro paese un paese normale con degli ambienti dove chi ha bisogno possa rimanere per un certo periodo e questo anche per alleviare le sofferenze di molte famiglie”. Andrea Bartelloni l'Arno.it
Questo post ha 0 commenti
Estratto da www.lavocedilucca.it/post/12796/psichiatria--un-anno-dopo-l---uccisione-della-dottoressa-barbara-capovani.php